Salario minimo: cos'è?
Identificato con la sigla SMIC (salario minimo di crescita), è la retribuzione oraria legale che tutti i dipendenti devono percepire. Nei paesi che l'hanno adottato, non è quindi possibile assumere un dipendente con una retribuzione oraria inferiore alla soglia definita per legge, anche nel caso in cui il dipendente sia consenziente. Il salario minimo si applica anche ai lavoratori che dipendono da aziende internazionali, ma che operano sul territorio nazionale.
Il salario minimo riguarda tutte le forme del contratto di lavoro (a tempo indeterminato, determinato, part time, etc.), indipendentemente dalla formula di remunerazione e anche il periodo di prova.
Non è, invece, applicabile:
• ai rappresentanti commerciali perché non soggetti ad orario di lavoro
• alle assistenti che godono di un regime derogatorio • ai sensi del contratto collettivo loro applicabile.
In genere, il salario minimo prevede una serie di agevolazioni, in particolare per:
• lavoratori con esperiena inferiore a 6 mesi
• dipendenti con contratto di apprendistato
• dipendenti di enti e servizi di assistenza.
Salari minimi in Europa
Dei 27 Paesi che fanno parte della Comunità europea, 21 hanno già approvato il salario minimo.
Il paese con la soglia più alta è il Lussemburgo (11,27 euro l'ora), quello che paga di meno è la Bulgaria (1,67 euro l'ora). Mediamente, la retribuzione oraria si aggira intorno ai 9 euro, con punte di 10.17 euro registrate in Francia e code di poco più di 6 euro in Spagna. Gli altri sei Paesi, tra cui l'Italia, hanno finora invece utilizzato la formula del contratto collettivo per proteggere gli stipendi dei lavoratori. La soglia minima sulla quale il Governo Italiano discute ormai da mesi è di 9 euro l'ora.
Salario minimo: a che punto siamo
Il salario minimo s'adda fare? Le forze di maggiorana e quelle di opposizione sono ferme ancora su uesto dubbio amletico.
La posizione delle sinistre
A spingere perché l'Italia diventi il ventiduesimo Paese europeo ad adottare il provvedimento, è soprattutto il Pd di Elly Schlein, a cui va il merito di aver messo d'accordo tutti i partiti di centro sinistra sulla prima bozza di legge. La necessità di adottare il salario minimo è innegabile: non solo gli stipendi sono calati e, ad oggi, risultano inadeguati a sostenere un livello di vita decoroso, ma esistono mestieri che non si avvicinano nemmeno lontanamente alle medie europee. I lavoratori dei settori pulizie, ristorazione, sicurezza e ristorazione e turismo sono i meno pagati in assoluto e con la piega che ha preso l'inflazione la sopravvivenza è messa a dura prova.
A conti fatti, la bozza di legge vorrebbe assicurare incrementi medi annui di 800 euro, da subito.
La ricetta Meloni
Le maggioranze di Governo, credono che il salario minimo non sia la soluzione. In teoria, come accade In Austia, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia, anche in Italia sebbene non esista una vera e propria legge, i minimi salariali sono definiti dai contratti collettivi. E allora com'è che gli italiani vengono pagati così poco? La premier non ha dubbi: è colpa della tassazione. Chi assume oggi un lavoratore, di fatto, versa somme altissime, nonostante i netti salariali siano tra i più bassi d'Europa, a causa dei contributi previdenziali. Insomma, la ricetta Meloni è: alziamo gli stipendi, abbassando le tasse. Salari a parte, il problema è anche un altro: il lavoro nero, le assunzioni irregolari e le cooperative di facciata sono una realtà sempre più triste e conclamata, nonché pericolosa.
Perciò, il governo lavora sulla riduzione delle aliquote Irpef (da 4 a 3), che dovrebbe consentire di appesantire le buste paga degli italiani di un centinaio di euro, già a partire dal 2024.
Tassandole meno, anche le tredicesime sarano più alte, mentre l'aliquota sui premi di produzione passerà, secondo le previsioni, dal 10 al 5%. La riforma prevede, infine, una no tax area, ovvero una soglia di reddito, sootto la quale il contribuente non è tenuto a pagare imposte allo Stato.
Sebbene meno allettante per i lavoratori, rispetto al salario minimo, almeno nell'immediato, il progetto di legge del governo Meloni promette risultati strabilianti nel medio e lungo periodo.
Il concetto è chiaro: se non puoi lavorare, lo Stato ti aiuta, ma se invece ti fa comodo restare a casa, allora niente più espedienti.
L'epoca del reddito di cittadinanza, insomma, sembra definitivamente archiviato. L'Italia che lavora è già all'opera per riguadagnarsi la scena.