Produzione industriale italiana: il quadro generale
Secondo l'Istat, tra maggio e luglio 2023, le industrie italiane hanno prodotto di più (+0,2%) rispetto al trimestre precedente. Ad agosto, però, l'indice segna un calo rispetto all'anno precedente. A salvarsi è solo il comparto dell'energia, che risulta cresciuto del +3,7%, i beni intermedi registrano un -0,5%, quelli strumentali -1,5% e i beni di consumo si attestano intorno al -1,6%. L'analisi settoriale evidenzia un'unica performance positiva, che si riferisce ai beni strumentali (+3,0%). Beni di consumo, intermedi ed energia, invece, mostrano decrementi compresi tra il -3,7% e il -4,5%.
Per passare ai settori di attività economica, solo 3 chiudono l'estate con un bilancio positivo:
• computer e prodotti elettronici (+0,4%)
• prodotti farmaceutici e preparati galenici (+5,8%)
• mezzi di trasporto (+10,1%).
Le produzioni legate a carta, stampa e legno sono, al contrario, le più penalizzate (-12,3%), seguite dai prodotti petroliferi raffinati (-10,8%) e dalle attività minerarie (-10,1%).
Produzione industriale in calo: la lettura del ministro Urso
Dopo due mesi di crescita economica, insomma, l'entusiasmo della ripresa si frena, fatta eccezione per l’energia. Un segnale nefasto? Secondo l'Istat, non troppo. L'Istituto insiste sulle medie di periodo, che chiudono con il segno più, ma l'interpretazione non piace al ministro dell'industria, Adolfo Urso, che parla di allarme. Cronaca di un calo annunciato, si direbbe, secondo l'incaricato di Giorgia Meloni, a causa di nodi che incidono sul sistema e che sono ben lontani dalla soluzione.
Calo della produzione industriale: le cause
Statistiche a parte, la produzione industriale, non solo quella italiana, deve fare i conti con una serie di ostacoli difficili da superare. Ostacoli di portata internazionale, primo fra tutti l'aumento del prezzo del petrolio, che continuerà la sua corsa almeno fino a fine anno.
L'aumento del prezzo del petrolio
Dopo aver raggiunto i picchi in seguito all'invasione dell'Ucraina, i costi del petrolio erano tornati ai livelli pre-febbraio 2022. La riapertura del mercato cinese dopo la fine dell'emergenza sanitaria legata al Covid 19 e il calo della produzione, però, hanno nuovamente spinto i prezzi verso l'alto.
Prevedere la fine del trend è praticamente impossibile. Le sanzioni contro la Russia hanno portato a una perdita di sbocchi per Mosca e il suo petrolio. Così il governo ha deciso di tagliare la produzione e aumentare il prezzo del brent. La riduzione dell'offerta si è tradotta, di fatto, in una nuova impennata. A complicare le cose c'è la domanda di petrolio in Cina, che dovrebbe aumentare dello 0,8% rispetto al 2019, anno pre-Covid, e raggiungere il suo picco nel 2025.
L'incremento del costo del petrolio, in teoria, potrebbe sortire un effetto positivo, spingendo le industrie nella direzione di fonti alternative di energia, ma per convertirsi le fabbriche hanno bisogno di investire e qui sorge un altro problema: i tassi di interesse continuano a salire e le imprese, di fatto, frenano gli investimenti in attesa di tempi migliori. Le industrie, insomma, giocano in difesa, almeno per il momento, poi si vedrà.
Le materie prime
Il petrolio, tuttavia, è solo il primo dei problemi: subito dopo, vengono le materie prime.
L'Italia, infatti, è un importatore di prodotti semilavorati e finiti. Perciò la pausa determinata dal Covid aveva già creato un grosso problema di approvvigionamento. Passato il Covid, è arrivato il conflitto russo-ucraino, ma in un anno il pianeta ha cercato nuovi equilibri. Oggi, il problema dell'approviggionamento sembra in via di soluzione, anche grazie alla riapertura delle attività in Cina. Il nodo, però, si è spostato sui costi, determinati (anche) dall'inflazione. Il peso dei tassi, che dovrebbero raggiungere quota 4% entro due mesi, si fa sentire: non si tratta, insomma, più di trovare le materie prime. Il problema è pagarle, a fronte di una capacità di approvvigionamento che si riduce per le imprese così come per le famiglie.
Produzione industriale in calo: non solo Italia
Mal comune, mezzo gaudio: non va meglio nel resto d'Europa. La Germania incassa un colpo duro (che investe anche il Bel Paese, di cui è partner industriale da decenni), ma anche la performance dei francesi non lascia presagire nulla di buono.
La crisi energetica, qui, è uno spettro costante: Ad Arques, Arc International ha spento 4 dei suoi 9 forni, all'inizio del 2023, e ha utilizzato olio combustibile domestico come sostituto del gas per superare l'inverno. A Fos-sur-Mer, ArcelorMittal ha disattivato uno dei suoi 2 altiforni, a causa del rallentamento della domanda di acciaio e dell’aumento dei prezzi dell’energia. A Dunkerque, la più grande fonderia di alluminio d'Europa ha deciso di ridurre la propria produzione del 22%. Le speranze sono riposte nel nuovo anno, quando le manovre anti-inflazione dovrebbero cominciare a produrre effetti visibili e i tassi di interesse dovrebbero assestarsi, aprendo così la strada alla ripresa.